Sulla resistenza di ieri e la democrazia di domani
"La libertà e la vita appartengono a quelli che le conquistano ogni giorno"
Goethe
Cosa significa il 25 aprile?
Cosa può rappresentare l'esperienza storica della Resistenza per la nostra generazione ?
La Resistenza è stata la base imprescindibile dello stato democratico, repubblicano e pluralista.
La Resistenza è stata la guerra ideologica a ogni fascismo, a ogni privazione della libertà, a ogni politica discriminatoria.
La Resistenza è stata la scelta audace, radicale ed eroica di uomini e donne che avvertivano come irrinunciabile il bisogno di riappropriarsi del potere di decidere: sulle sorti del loro paese e sulle loro stesse vite. Questo bisogno universale è stato il seme di un sogno, diventato un ideale: quello di una piena e compiuta democrazia. Alla luce di ciò, non possiamo fare a meno di chiederci quanto il sacrificio dei partigiani sia stato adeguatamente ricompensato dalla Storia. Ad arruolarsi nella Resistenza furono sognatori clandestini che avevano aderito alle più distinte ideologie: socialisti, cattolico-democratici, comunisti, liberali, anarchici. Ed è questa pluralità di visioni, questa ricchezza ideologica, che ha rappresentato in tutta la prima fase della Repubblica il valore più prezioso della nostra democrazia.
Perciò se oggi la politica è in crisi, e il divario fra rappresentanti e rappresentati non fa che aumentare, le ragioni vanno innanzi tutto cercate nella povertà culturale del nostro tempo. E' innegabile che negli ultimi anni la partecipazione attiva in generale, e in particolare quella giovanile, sia giunta ai minimi storici e ciò ha evidenti ripercussioni sulla vita politica del nostro paese. La riflessione che ci sentiamo di condividere in occasione di questa festa parte da qui: la storia della Resistenza e della Costituzione ci insegnano l'importanza della partecipazione collettiva alla vita pubblica della nazione, ci insegnano che la democrazia non è solo un bene per tutti, ma è anche e soprattutto un bene di tutti. E di tutti è la responsabilità di preservarla e farla vivere ogni giorno, di non darla mai per scontata.
Perché quindi oggi ci ostiniamo ad ignorare questa lezione?
Certo, la crisi della rappresentanza può essere imputata a molteplici fattori. La cosiddetta "fine della Storia" dovuta al collasso dell'Unione Sovietica, l'avvento della globalizzazione e la maggiore integrazione comunitaria dei paesi europei hanno comportato senz'altro l'adesione generale al paradigma neoliberale. E ciò ha finito inevitabilmente per ridurre il pluralismo ideologico dell'arco politico costituzionale. Ciò avveniva inoltre negli anni del crollo della Prima Repubblica, franata con il terremoto giudiziario di Tangentopoli e demolita in seguito con l'avvento della destra proto-populista berlusconiana e leghista.
Al di là delle vicende storiche però, c'è qualcosa di più profondo, di più intimo, in ciò che ha causato una tale disaffezione verso la cosa pubblica. Si tratta di qualcosa che ha a che vedere con la trasformazione delle relazioni sociali, con l'esasperazione dell'individualismo soprattutto fra le nuove generazioni, e con l'incertezza disorientante che contraddistingue la nostra epoca. L'esigenza di un profondo rinnovamento di quelle organizzazioni che tradizionalmente hanno incanalato le domande provenienti dalla società verso le istituzioni, è sotto gli occhi di tutti.
E l'antipolitica non è una risposta. D'altronde la disintermediazione tra la gente comune e chi prende le decisioni nelle stanze del potere non può che avere l'effetto di esarcerbare l'isolamento e la frustrazione dei cittadini. Insomma possiamo chiamare i partiti movimenti o viceversa, ma sta di fatto che abbiamo ancora bisogno di corpi capaci di organizzare e rappresentare la volontà popolare. Possiamo cambiare nome ai sindacati, ma non c'è dubbio che abbiamo ancora bisogno di organizzazioni impegnate per la conquista e la difesa dei diritti dei lavoratori. Se ci fa paura possiamo smettere di nominare le ideologie, riferendoci ad esse solo in senso dispregiativo, ma abbiamo ancora un viscerale bisogno di grandi visioni per il futuro.
Capire cosa è avvenuto nel nostro paese negli ultimi anni non è banale.
Se è diminuita vertiginosamente la partecipazione politica in senso stretto, sono sicuramente aumentati gli esempi di partecipazione "civile": a partire dalla proliferazione di comitati di quartiere, associazioni culturali, o di volontariato, o di prima assistenza e via dicendo. La sfida oggi potrebbe essere proprio trasformare alcune di queste esperienze virtuose in nuove forme di rappresentanza. La fluidità magmatica dei movimenti odierni, e i Gilet Jeans fanno scuola da questo punto di vista, può servire ad aumentare il conflitto sociale ma non rappresenta una risposta compiuta alla crisi della rappresentanza, anzi ne è per lo più un sintomo. Bisogna rimboccarsi le maniche, senza prendere scorciatoie, e lavorare per trasformare quanto si muove nella cosiddetta società civile in uno o più progetti politici organici cioè dotati di un sistema di valori condiviso e di una visione omogenea, elementi tragicamente assenti dal panorama politico attuale.
Pensare che la Politica sia qualcosa di intrinsecamente corrotto è tanto ingenuo quanto autolesionista. Tornare ad appassionarsi di politica significa superare questo timore. La storia della filosofia ci ha insegnato che l'uomo è un animale sociale, ciascuno ha bisogno degli altri per essere più forte. Per questo nasce la società e per questo esiste la Politica. E più l'uomo è coinvolto nell'organizzazione sociale più il sistema politico diventa efficace, non senza qualche turbolenza ovviamente. La crisi della democrazia perciò è legata a doppio filo con la perdita della dimensione sociale e relazionale dell'uomo. Una crisi del genere può essere superata solo se vengono ripensate le forme di aggregazione in funzione di nuove visioni della società e di nuovi modi di stare insieme.
Ricordare la Resistenza per noi vuol dire anche e soprattutto ricordare la speranza dei partigiani e delle partigiane nell'edificazione di un sistema politico che fosse, non solo formalmente ma sostanzialmente, espressione della volontà popolare. Portare avanti i valori della Resistenza significa perseverare in questa missione.
E se la libertà oggi è forse meno minacciata dalle spinte eversive e autoritarie, il rischio di un'involuzione della democrazia resta uno spettro incombente.