“Ok Boomer”: il riscatto della generazione Z
Il giorno dopo
Eccoci qua. Le Sardine hanno vinto e Salvini ha perso.
Il dato sconcertante è sempre lo stesso. In quasi due anni dal fallimento del
Partito Democratico alle elezioni del 2018, non c'è stato politico o personaggio
pubblico che abbia saputo veramente prendere in mano il timone di questa nave
alla deriva chiamata sinistra italiana, per guidare il suo equipaggio smarrito.
A risvegliare il popolo dei progressisti, espressione tanto vaga quanto utile poiché onnicomprensiva, ci ha pensato Mattia Santori, 32 anni e capelli tirati indietro col cerchietto, insieme ad altri tre coetanei altrettanto stufi dell'immobilismo dei partiti. Piazze gremite di persone e talvolta spoglie di contenuti, ma con un messaggio potente nella sua autoevidenza: Noi ci siamo.
Ci siamo, esistiamo, siamo tanti, eccoci. Erano anni che non si vedevano folle così convocate al di fuori del circuito dei partiti, forse dalle proteste anti-austerity culminate a San Giovanni con gli scontri del 15 ottobre 2011. Ma quella era un'altra epoca politica.
Peraltro, le mobilitazioni delle sardine giungono al culmine di un anno, il 2019, segnato in Italia da numerose proteste e manifestazioni di dissenso.
Facciamo perciò un passo indietro.
Segnali di fumo
" Il mondo salvato dai ragazzini ", titolava così un articolo pubblicato sul
settimanale l'Espresso lo scorso Aprile.
Greta, la paladina dell'ambiente, Simone di Torre Maura, Adam e Rami e gli eroi
del bus di San Donato premiati con il conferimento della cittadinanza italiana.
Storie diverse con un denominatore comune: l'età anagrafica.
Dopo anni di astensione dalla vita pubblica è sembrato nella primavera del 2019 che i giovani, anzi i giovanissimi, avessero improvvisamente battuto un colpo. Innescando una reazione al clima politico causato dall'insediamento del così detto "governo del cambiamento".
Un cambiamento che evidentemente le generazioni più giovani percepiscono
come peggiorativo poiché guarda nella direzione del razzismo, del negazionismo
ambientale e della dissoluzione del progetto europeo.
Un futuro che sa di vecchio quindi, di ritorno al passato: un nuovo nazionalismo
che risulta quasi incomprensibile per chi è nato alle porte del Duemila, in un
mondo già globalizzato e interconnesso.
I giovani, però, storicamente sono sempre stati fautori e artefici del cambiamento ed è per questo che oggi si sentono in qualche modo inadeguati a battersi per la conservazione del mondo in cui sono nati e cresciuti.
Il rapporto fra i giovani e la politica
Non è la prima volta che una generazione si sente tagliata fuori dal sistema politico, dai suoi codici, dai suoi linguaggi. Questo senso di marginalità, di esclusione e quindi di rigetto per la vita istituzionale del paese, è stato avvertito anche in passato.
Cinquant'anni fa il movimento de 68' diede inizio alla più grande rivoluzione generazionale della storia: una rivolta esistenziale capace di mettere in discussione non solo la politica, ma la struttura stessa della società, della famiglia, della democrazia. E anche alla fine degli anni Novanta quando le ideologie che avevano animato il Sessantotto e il decennio successivo ormai non tenevano più banco, quando il sistema dei partiti appariva refrattario a qualsiasi sollecitazione esterna, i ragazzi di Seattle, di Porto Alegre, di Genova, riuscirono a irrompere nell'agone politico con un'altra contestazione totale, con un'altra lotta globale.
Il problema del rapporto tra i giovani e la politica oggi non è racchiuso nel fenomeno dell'astensione, che è il riflesso dell'assoluta assenza in Italia di qualsivoglia rappresentanza politica per gli under 35. All'estero ad esempio i partiti che hanno inserito nei propri programmi i temi della lotta al cambiamento climatico, del contrasto alla precarietà e degli investimenti nel welfare sono stati premiati in maniera significativa dal voto dei millenials, e le parabole di Bernie Sanders e Jeremy ne sono la dimostrazione più lampante.
L'astensione è soltanto una specifica espressione di un trionfo dell'indifferenza ben più disarmante.
La crisi del suddetto rapporto investe la capacità di questa generazione di
organizzarsi, di inventare, di avere dei riferimenti comuni.
È una crisi che coincide in tutto e per tutto con lo stato della democrazia
rappresentativa oggi.
Il movimento No Global venti anni fa sfruttando l'avvento di internet riuscì ad innovare i processi di partecipazione democratica, di decisione, di mobilitazione. Era una completa sperimentazione delle forme e dei modi di fare politica, che aveva portato alla convergenza magmatica di innumerevoli gruppi: associazioni ambientaliste, ONG, sindacati e studenti. Uniti contro un mondo che appariva al rovescio, che garantiva - com'è tutt'ora - libertà di circolazione ai capitali e porti chiusi agli esseri umani.
Oggi però dell'intraprendenza di venti o di cinquant'anni fa, di quell' ambizione smisurata, di quel sogno collettivo, è rimasto ben poco. I ventenni di questo millennio sembrano inconsapevoli di fare parte di una più vasta collettività, appaiono disillusi rispetto alla possibilità di incidere concretamente sul presente. Vivono l'oggi con ansia e il domani con rassegnato pessimismo.
L'unica devozione che conoscono è quella al culto dell'individualismo. È un messaggio che viene trasmesso a reti unificate: dalla musica trap ai reality show, dalle icone stile Chiara Ferragni all'uso compulsivo dei social network.
Ciascuno intento a ricordare ossessivamente la propria capacità di essere popolare, di fare soldi e di avere successo. Un'ostentazione che vorrebbe stimolare chiunque a sentirsi artefice del proprio destino, apprezzato con un metro di misura universale: i like, e speciale nella propria individualità.
Ma tutto ciò al contrario incoraggia l'omologazione e aumenta le distanze tra gli individui, esacerbando il senso di solitudine e il sentirsi "perdenti", deteriorando i rapporti umani.
Insomma, è chiaro, la differenza tra ieri e oggi è siderale. Non solo nella cultura politica, nell'immaginario collettivo, nei modelli che vengono propugnati dalla società, ma anche e soprattutto nella capacità di creare nuove comunità all'interno di una democrazia fragile, alla deriva.
È vero: i partiti sono al tramonto, ma non significa che non sia possibile incanalare la partecipazione politica altrove. Ed è per questo che la mobilitazione dei Fridays For Future dell'anno appena trascorso e delle Sardine oggi rappresentano una scintilla di speranza per un rinnovato protagonismo dei movimenti nel campo politico.
È vero: oggi non esistono più i fervidi dibattiti del Novecento, e anche la cultura popolare sembra spesso prendere le distanze dall'impegno sociale o politico. Un cambiamento che era senz'altro già, e più drasticamente, avvenuto con l'inizio degli anni Ottanta (e la fine della società di massa).
Se gli anni Novanta sono stati connotati anche da pellicole di culto come Trainspotting o Fight Club che denunciavano apertamente lo stile di vita della società consumistica, oggi dobbiamo accontentarci al massimo de La casa di carta. Meglio di niente, ma evidentemente non può bastare.
Le generazioni precedenti hanno lasciato i ventenni di oggi privi di qualsiasi arma contro l'arroccamento del sistema che li vuole tenere ai margini. Vorrà dire che dovranno costruirsele da soli.
Che fare?
In un epoca in cui i leader, i partiti, i sindacati, gli intellettuali, la cultura nel suo insieme e chiunque dovrebbe rappresentare una guida nella società sembrano aver abdicato alla propria vocazione storica, c'è un mondo da ricostruire, partendo dalle fondamenta, e soltanto le nuove generazioni possono farlo.
Perché anche nella desolazione del tempo presente, anche nella crisi che stiamo vivendo, nuove e più forti istanze possono affermarsi per trasformare le nostre democrazie.
C'è una gerarchia di priorità per l'agenda politica del futuro più prossimo che coincide con gli interessi generazionali dei millennials, e che deve rompere gli argini di un dibattito sterile come quello odierno per scuotere le nostre classi dirigenti.
Non solo la transizione ecologica, che è in cima a questa lista poiché saranno i giovani a subire maggiormente le conseguenze del disastro ambientale, ma anche la trasformazione del mercato del lavoro, legata all'avvento dell'automazione e alla scomparsa di tantissimi lavori, la lotta per il riconoscimento e la tutela dei nuovi diritti digitali senza i quali oggi le persone sono merci nelle mani dei Big Data.
Fondamentale è e sarà la lotta per una redistribuzione della ricchezza dall'alto verso il basso che renda materialmente possibili queste urgenti trasformazioni.
E ancora: l'utopia per la costruzione di un'Europa veramente democratica, la sfida del femminismo 3.0, e la scommessa dell'inclusione: cioè di una società funzionale nel suo essere multietnica .
Presto ci accorgeremo che i problemi non sono quelli di cui si occupa la politica parlamentare, ma altri e ben più gravi. Per affrontarli c'è bisogno della purezza vergine della gioventù, di chi non è stato plasmato dal corso storico degli ultimi trent'anni, di chi è impermeabile ad una propaganda che crea false emergenze mentre nega o ignora quelle vere.
La generazione Z ha bisogno di capire che la felicità e il successo non si raggiungono sul proprio profilo Instagram, ma soltanto mettendosi in gioco con il rischio, la passione e sì, anche la sofferenza, della lotta collettiva per il futuro.
Se le energie creative che i giovanissimi impiegano nella formazione della propria immagine esteriore, per essere "imprenditori di se stessi" come gli suggerisce la cultura dominante, fossero indirizzate almeno in parte nella libera sperimentazione di nuovi progetti sociali, culturali, politici per le battaglie cruciali del nostro tempo, saremmo di gran lunga più vicini alla costruzione del mondo che verrà.
Perché se è vero che continuiamo a concepire il successo come individuale, al contrario la sconfitta di una generazione senza certezze lavorative, senza diritti, senza voce in capitolo nella politica e già indebitatissima, non risparmierà proprio nessuno.
Sarà meglio non aspettare fino ad allora per riscoprirci parte della stessa Storia.
di Michelangelo Ricci